IL POSTO d’onore non poteva che spettare al coronavirus. Al mare infinito di contenuti indicizzati da Google abbiamo infatti confidato tutti i nostri dubbi e le nostre paure sulla pandemia che ha ribaltato l’esistenza del pianeta innescando una crisi (umana anzitutto, ed economica) senza precedenti. Lo certifica “Un anno di ricerche 2020”, l’appuntamento con ciò che gli italiani hanno cercato su Big G nel corso dei 12 mesi precedenti. In vetta alle parole più cliccate c’è appunto “coronavirus”, fra i “cosa significa” il termine pandemia e fra i “fai-da-te” per la cura della persona l’amuchina. Alla seconda piazza delle chiavi di ricerca di maggior tendenza le “elezioni Usa” e alla terza “Classroom”, la piattaforma per le lezioni a distanza di Big G, seguita da un altro ambiente per la didattica in remoto (WeSchool) e da “nuovo dpcm”, appesi come siamo da mesi alle indicazioni contenute in uno strumento legislativo, il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, con cui prima del febbraio 2020 avevamo poca familiarità. Leggi l’articolo completo QUI
Alla fine del 2020, il riscaldamento globale avrà raggiunto la soglia degli 1,2°C sopra i livelli pre-industriali. Forse questo non sarà l’anno più caldo di sempre (primato che spetta al 2016), ma ci si avvicina parecchio. Tanto da entrare sicuramente sul podio di questa classifica bollente. In ogni caso, l’ultimo lustro così come l’ultimo decennio sono quelli più caldi della storia, da quando sono iniziate le misurazioni scientifiche a metà Ottocento. Lo scrive l’Organizzazione meteorologica mondiale (Wmo) nel rapporto sullo Stato del clima globale 2020. Da cui emerge un altro dato che sottolinea l’urgenza di adottare un’azione climatica davvero all’altezza della situazione in cui versa il pianeta. Infatti, conteggiati anche i dati relativi agli ultimi 12 mesi, c’è il 20% di probabilità che supereremo la soglia degli 1,5°C di riscaldamento globale già nel 2024. Leggi l’articolo completo QUI
La scarsità d’acqua estrema e la siccità dovute al cambiamento climatico colpiscono 1,5 miliardi di persone in tutto il mondo. E la mancanza di adeguate risorse idriche, nel complesso, è una realtà 3 miliardi di esseri umani. Numeri che poggiano su un trend negativo preoccupante: la quantità d’acqua potabile disponibile pro capite è diminuita del 20% in appena due decenni. Ma in alcune regioni la situazione è peggiore. In Nord Africa e Asia occidentale (Iran, Pakistan, Afghanistan) il calo è del 30% e a stento la quantità d’acqua disponibile arriva ai 1000 m3, la soglia sotto la quale per convenzione si stima una scarsità d’acqua acuta. L’allarme è lanciato dalla Fao nel suo rapporto annuale The State of Food and Agriculture, che individua la crisi climatica come uno dei fattori principali, insieme alla domanda d’acqua crescente e alla cattiva gestione delle risorse, che impoveriscono l’agricoltura a livello mondiale. Il cambiamento climatico è letto come un moltiplicatore del rischio per l’agricoltura. Sovrapposto ad altri trend come l’urbanizzazione o l’adozione di diete più water-intensive, il cambiamento climatico comporta un maggiore rischio di eventi climatici estremi, siccità più durature, inondazioni più frequenti e devastanti e una variabilità climatica maggiore (specie nella frequenza e nell’abbondanza delle precipitazioni). Tutto ciò, a sua volta, aumenta la pressione sulla produzione agricola, poiché la crescita delle colture e le rese sono altamente sensibili alle condizioni climatiche. Leggi l’articolo completo QUI
Gli effetti della pandemia da Covid-19 hanno avuto (e continuano ad avere) notevoli ripercussioni sulla nostra vita quotidiana. Tra queste, è stata segnalato un forte incremento di attacchi alla sicurezza informatica, che in Italia hanno raggiunto il massimo picco nel secondo trimestre 2020. Secondo i dati elaborati dall’Osservatorio sulla Cybersecurity di Exprivia, infatti, nel mese di giugno sono stati segnalati la maggior parte di attacchi, incidenti e violazioni della privacy a danno di aziende, privati e pubblica amministrazione, con un incremento del 250% rispetto al trimestre precedente. A favorire tale incremento sarebbero state diverse concause, tra cui sicuramente l’incremento dello smart working, un maggior utilizzo dei social network a seguito del lockdown e la riapertura delle industrie a partire dal mese di maggio. Gli attacchi informatici hanno riguardato principalmente il furto dei dati (+361% rispetto al primo trimestre 2020). Violazioni della privacy e perdita di denaro si sono attestate invece “solo” rispettivamente all’11% e al 7%. Leggi l’articolo completo QUI
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