Campanilismo

“Sotto la lente” da prospettive diverse

“Che ci fanno queste anime davanti alla chiesa, questa gente divisa, questa storia sospesa”. Apre quasi con una domanda una delle canzoni, per me, più intense di Fabrizio De André, Disamistade. Che ci fanno l’uno contro l’altro, armati, pieni di invidia, rancore e assetati di sangue e vendetta? E chi ci fanno proprio davanti ad una chiesa, ossia ad un campanile, ciascuno, possiamo dire, con le proprie campanilistiche ragioni?
 
Disamistade significa, in sardo, inimicizia e, per estensione, faida: tra famiglie, paesi, popoli. La guerra del cuore, “si accontenta di cause leggere” dice sempre De Andrè e a me pare faccia quasi il verso a Freud che ne Il disagio della civiltà, del 1929, parlava del “narcisismo delle piccole differenze”.
 
Si tratta, la faccio breve, del bisogno di mantenere coesione all’interno di una piccola comunità o gruppo, spostando il disprezzo, l’aggressività e l’invidia su altre piccole comunità e gruppi, non totalmente diversi, ma anzi quasi simili; verso coloro, cioè, che presentano modeste e, potremmo dire innocue, differenze. L’altro quartiere, il paese di sotto e quello di sopra, la classe scolastica di appartenenza, la pietanza migliore tra due cucinate in città vicine, il Santo o la Madonna contesi alle feste patronali… gli esempi potrebbero essere infiniti.
 
A me pare, si tratti, in realtà, della paura di essere troppo simili all’altro, manchevoli di unicità e originalità: una paura così grande che porta ad amplificare, sottolineare, opporre aspetti identitari minimi, quelli che ci fanno essere chi siamo.
Da qui nasce sicuramente il profondo senso di orgoglio e appartenenza, ma, al tempo stesso, l’antipatia, l’ostilità per il vicino, la rivalità nei confronti di chi sta dall’altra parte e quell’idea che “il dolore degli altri, è dolore a metà”! (sempre Faber)
 
La speranza in tutto questo? Lieve e presto smarrita, sembra risiedere, a sentire De Andrè, in un fugace toccarsi le mani, tutto al femminile, perché “dev’esserci un modo di vivere senza dolore”: un contatto, pelle a pelle, che possa appianare l’antica faida e farci tornare fratelli, simili e diversi.
La canzone chiude, però, con la domanda iniziale: dunque, questo contatto sembra non bastare, Massimo…

Alcesti Alliata

Non può bastare, amica mia, e come darti torto, come tutti i fatti della vita in cui, al contrario dei fogli di excel, i conti non tornano e non tornano mai.
E allora: “Tu da che parte stai? Stai dalla parte di chi ruba nei supermercati o di chi li ha costruiti… rubando?”. Un altro poeta, un altro di “quelli che restano”, per dirlo col titolo di una sua canzone (Francesco De Gregori), sembra voglia dirci proprio che in questa nostra sfasciata contemporaneità la domanda ricorrente sia proprio quella: da che parte stai?
 
Io mi chiedo spesso che senso abbia questa domanda e, a giudicare dalla ricorsività con la quale viene posta, mi sembra che venga usata come analgesico, come anestetico, tanto per dare a chi ascolta una rotta nella quale possa trovare posizione.
 
La nostra personale emergenza, allora, diviene uscire dal dis-agio, da quella scomodità che sentiamo, quando in modo improvvido, dichiariamo chi siamo davvero, cosa sentiamo e pensiamo, senza curarci di quello che gli altri possono pensare di noi. Così facendo però, usciamo dal perimetro: se non decidiamo da che parte stare, rischiamo di trovarci soli, di sentire il ferro ed il freddo della non appartenenza, rischiamo il fuoco incrociato di chi non è d’accordo, ma anche di chi non è sicuro che si stia dalla sua parte. Ignazio Silone amava definirsi un “cristiano senza chiesa ed un socialista senza partito”: eccoci, dunque, approdare nella terra di mezzo di quelli che non pensano alle “conseguenze” delle proprie azioni.
 
A me sembra, almeno da quello che sento, che il campanilismo, lo schieramento, i Guelfi ed i Ghibellini, oltre ad assolvere ad una funzione di rinforzo dell’identità, come tu hai scritto, siano un disperato e forse patetico tentativo di uscire dall’isolamento, dal mondo in cui come direbbe Vasco “la notte è buia e ci sei soltanto tu”.
 
In questo senso il campanilismo è il trionfo del noi e del voi, trasforma la solitudine esistenziale in cui tutti da sempre siamo gettati e ci mette in squadra, ci consegna un po’ di calore e di colore e nel darci un nemico ci fa urlare a tutti che siamo noi i migliori, che nessuno come noi è nel giusto e per un attimo dimentichiamo di essere soli.
 

Massimo Buratti

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