Storie

“Sotto la lente” da prospettive diverse

Nell’antichità, i soldati prima di andare in guerra si recavano dalla Sibilla, per ricevere la profezia su come sarebbe andata. Dopo aver guardato nelle interiora degli animali e aver scrutato il cielo, l’oracolo proferiva: “ibis redibis non morieris in bello”, “andrai tornerai non morirai in battaglia”. I giovani soldati partivano, forti della profezia, ma tra questi, c’erano anche quelli che non tornavano più. I familiari si recavano, allora, dalla Sibilla accusandola di aver fatto una falsa profezia e lei esordiva: non mi avete capito io ho detto “ibis redibis non, morieris in bello”, ovvero “andrai non tornerai, morirai in battaglia”. Alla Sibilla bastava aggiungere la virgola dopo il “non” per invertire il significato della frase.
Dunque una virgola, o meglio la sua posizione nella frase, cambia il significato.
 
Andiamo avanti nel tempo e vi racconto un episodio meno classico e più personale. La mia mamma, una decina di anni fa, raccontava a parenti ed amici che io alla tenera età di 6 anni ero molto bravo a mangiare gli spaghetti con la forchetta senza sporcarmi… Gli anni passano. Alcuni giorni fa sempre la mia mamma raccontava che io alla tenera età di 4 anni ero molto  bravo con gli spaghetti!
 
Potremmo chiederci, dunque, dove sia la verità, quale delle due versioni è quella vera. Più in generale ciascuno di noi possiede diverse versioni, diverse verità, diversi racconti su sé e sul mondo. Tutta la nostra vita in fondo non è altro che un racconto, noi viviamo nelle intersezioni di trama ed ordito della narrazione della vita.
 
Il nostro stesso lavoro consiste in primo luogo nell’ascolto di storie, di racconti: spesso, però, le storie che ascoltiamo sono bloccate, rigide, incontrovertibili. Allora noi, con pazienza, con il consenso e l’aiuto del proprietario della storia cerchiamo di capire se si possa o meno spostare qualche virgola, riscrivere qualcosa in modo che avvenga la trasformazione.
 
Il mio maestro soleva dirmi che il nostro mestiere sia proprio quello di aiutare le persone a trasformare le tragedie in commedie. Se ci pensate la commedia non è affatto superficiale, anzi spesso arriva molto in profondità, ma al contrario della tragedia ha un finale aperto che ci consente di immaginare prima e praticare poi il cambiamento.
 
A te la parola, amica cara.

Massimo Buratti

Ho cominciato / a piangere per gioco, / e poi ho creduto / che fosse il mio destino”: così scrive Alda Merini, poetessa milanese, voce straordinaria che ha lottato con la sua follia, entrando e uscendo, in diversi periodi della sua vita, dagli ospedali psichiatrici. Versi un poco misteriosi, che rimandano a una scelta, quella appunto di una narrazione che non lascia scampo.
 
Esiste una particolare forma di racconto di sé che la Scuola di Palo Alto ha chiamato la profezia che si autoavvera: questo accade tutte quelle volte che parlando di noi o degli altri, ci raccontiamo che le cose sicuramente andaranno in un certo modo e questo effettivamente accade.
 
Un esperimento chiamato Pigmalione in classe, condotto dallo psicologo Robert Rosenthal, nel secolo scorso, ha coinvolto in una scuola elementare più di 650 bambini e 18 maestre. Alle insegnanti veniva fatto credere che un certo gruppo di bambini, scelto assolutamente a caso, a seguito delle risposte ad un test di intelligenza, era più dotato degli altri e avrebbe raggiunto risultati molto al di sopra della media, in tempi brevi. Alla fine dell’anno, a causa di questo convincimento, il gruppo di bambini prescelto si distingueva positivamente dal resto della classe!
 
Quanti pregiudizi, aspettative, costruzioni mentali prive di collegamento con il reale, possono letteralmente costruire, modificare, modellare le nostre vite e il nostro racconto di come stanno le cose! Questo è un argomento molto amato da chi si occupa di performance, in tutti i campi, da quello sportivo e artistico, a quello professionale ed anche privato e personale.
 
È indubbio (lo verifichiamo continuamente nelle nostre aule) che siamo molto bravi e meticolosi quando si tratta di essere severi con noi stessi, riconoscendoci limiti, carenze, incapacità di varia natura, o inseguendo idee che rigidamente ci portano su false piste. Io credo che, allo stesso modo, spostandoci su un altro binario, più tollerante e amorevole verso noi stessi (ma anche più creativo e generativo), possiamo costruire un realtà differente, un punto di partenza motivante e stimolante che ci permetta, anche divertendoci, di ottenere risultati soddisfacenti in ambito professionale e personale.
 
Sono forse un buon monito, allora, le parole del grande filosofo Karl Popper: “l’intelligenza è utile per la sopravvivenza se ci permette di estinguere una cattiva idea prima che la cattiva idea estingua noi”.

Alcesti Alliata

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