Una sosta per allargare lo sguardo.

“Sotto la lente” da prospettive diverse

“Bisogna essere capaci”, ci suggerisce Alessandro Bergonzoni, l’attore che gioca con le parole nei suoi monologhi a teatro. Ma finché pensiamo che “capace” significhi essere bravo a fare qualcosa, non abbiamo capito nulla. Ed ecco il gioco di prestigio: “capace vuol dire saper contenere di più. Vuol dire più largo, più vasto. La capacità dell’uomo è saper contenere l’incredibile, l’impossibile, l’indicibile, l’incommensurabile”. Spesso mi càpita di citare questo passaggio, perché lo sento un passaggio necessario. Soprattutto oggi. 
 
Come psicologa, ascolto sovente nel mio studio giovani adolescenti e giovani adulti, appena affacciati sul mondo del lavoro: una delle loro difficoltà, una specie di corto circuito del pensiero, sta proprio nell’incapacità di sentirsi vasti, di poter contenere anche apparenti contraddizioni. “Io non lo so” mi dice un ragazzo di 23 anni “se mi sono sentito più liberato o addolorato per la separazione da mio padre”. Quando, dopo aver ascoltato il suo reale tormento per questa domanda, provo a dirgli “forse entrambe le cose”, lo vedo improvvisamente pacificarsi. Come se, dare voce e dignità, contemporaneamente, a tutte le sue “parti”, potesse farlo sentire meno scisso, più intero e, conseguentemente, più autentico, più vero. 
Pensando a questi anni, mi chiedo se la pandemia, la successiva guerra in Ucraina, l’emergenza climatica non abbiano contribuito a far sentire ai giovani, ma anche a noi adulti, che, invece, lo spazio di azione si è ristretto, che occorre scegliere da che parte stare e che le risposte alle nostre domande non possano che essere “o bianco o nero”, “o vero o falso”, “o tu o io”.
 
Incastrati in questa “guerra interna” tra poli opposti, sembra sia diventato più difficile progettare la propria vita, ingaggiarsi e farsi coinvolgere dal proprio lavoro o dai propri impegni, immaginare e dare un senso al proprio futuro.
 
Parlo dei giovani, in questa prima nostra riflessione con voi di Teleperformance Italia, perché penso che proprio da loro arrivino forti e chiari i segnali di una società in crisi. Quei segnali su cui vorremmo provare a riflettere insieme a voi.
 
E veniamo alla lente che ci riguarda: lente che rimanda all’osservare, all’ingrandire, rimanda in definitiva ad uno sguardo particolare sulle cose. Quello che immaginiamo di fare nei prossimi mesi, in questa rubrica, è un po’ tutto questo: osservare, con la nostra lente da taschino, fatti, comportamenti, emozioni, storie di vita e provare, focalizzando lo sguardo, ad allargarlo, nel tentativo di contenere “le norme, ma anche l’e-norme” (sempre Bergonzoni). 
 
Ora maldestramente, cerchiamo di fare un gioco di prestigio… e se la parola lente ci rimandasse alla lente-zza? Anche questo ci piacerebbe fare in questa rubrica: rallentare, fino a sostare. 

Alcesti Alliata

Anche quest’anno mi è ricapitato. Ero in aeroporto a Milano, cercando di capire come affittare un’auto per le vacanze e ci ho fatto caso: uomini che camminano affannosamente sulla scala mobile, che corrono sui tapis roulant di accesso alla metropolitana. Voi penserete che non valga la pena di occuparsi di cose così banali, in fondo poi ci sarà un motivo e, in ogni caso, che senso ha stare lì a cercare le ragioni di una cosa da nulla! Invece nel mio mestiere è proprio l’inutile, il comportamento banale, quello al quale sto più attento, che in qualche modo diventa rivelatore.
 
Da ragazzo di campagna, proiettato a Milano, in gioventù mi trovavo spesso a correre in mezzo agli altri che correvano, senza averne il motivo reale. Se penso a questi anni e alle cose che ho condiviso con le persone che ho cercato di aiutare, nella clinica, nelle docenze, nella formazione, l’elemento comune, conquista personale e condivisa, è stata proprio la lentezza
 
Spesso quando parlo di lentezza sembra che voglia riproporre una esperienza assolutamente poco utile, ma soprattutto incomprensibile; mi si dice: “guarda che non ho tempo, non ci si può fermare”. Con l’esercizio però, con la riflessione e spesso un sacco di fatica, la conquistiamo, verso il fondo, proprio prima della speranza, la lentezza: come pratica del sentire, come via di accesso alle cose, come modo di attraversare le emozioni, senza evitarle.
 
Pensando al cammino che da qualche anno stiamo facendo insieme – noi di Studio Eidos e voi di Teleperformance – la lentezza ci potrà forse fare da guida, indicandoci la via e dandoci il tempo di attendere che si sveli il senso, la profondità ed il piacere del cammino di tutti e di ciascuno. Nella lentezza dunque il nord incontra il sud, la nebbia invernale e l’afa estiva cammineranno al fianco del sole e del mare. Chissà se anche nella nebbia si potrà trovare un po’ di sole; forse in ogni caso scopriremo di essere tutti utili gli uni agli altri, che la differenza costruisce valore e che l’Altro non è Altro a se stesso ma solo a noi.
 
Solo nella lente di ingrandimento della lentezza sarà possibile far coesistere le differenze. Ci auguriamo di riuscire ad incontrarci in un cammino che sappia sentire il richiamo dell’amicizia e della profondità, l’odore della carne e la luce del pensiero. Che si prenda dunque il passo del più lento e che nessuno così facendo rimanga indietro.
E… buon cammino. 

Massimo Buratti

4 commenti su “Una sosta per allargare lo sguardo.”

  1. Ma che bella iniziativa.
    Bisognerebbe leggere più “articoli” come questi piuttosto che quelli che ci propinano quotidianamente i mass media, perché è bene essere informati su quello che succede nel mondo ma senza ingurgitare tutto senza la capacità di riflessione e critica. Voi date invece proprio uno spunto importante per pensare e ascoltare se stessi.

  2. M. Carla Quaregna

    Mi piace molto il percorso che avete individuato…dietro la corsa, l’affanno, la mancanza di tempo spesso ci sono persone sofferenti e mascherate alla Pirandello.
    Inoltre prendere atto ed accettare ciò che è, o sembra, in contraddizione sarà un’ ottima pratica da apprendere. Grazie per l’ iniziativa

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