Siamo in molti a pensare che siano importanti i like che riceviamo, oppure le reciprocità che inneschiamo attraverso i contenuti. La quantità di interazioni che ci riguardano è una metrica che determina o meno la percezione di successo in noi stessi o negli altri. È ormai un pensiero diffuso, a fronte di tante approvazioni ottenute, che siano un segnale che stabilisce quanto siamo amati o apprezzati. Chi riceve poche approvazioni subisce l’onta della sconfitta e dell’emarginazione sociale, anzi, social. Ci hanno insegnato che essere rilevanti a suon di like sia la metrica della popolarità, che dobbiamo rincorrerla è che, una volta ottenuta, saremo rispettati da coloro con i quali aspiriamo a connetterci.
Oggi siamo tutti verosimilmente in vetrina, abbiamo un’immagine pubblica e viviamo di feedback che fanno bella mostra sotto i nostri contenuti. Siamo estremamente concentrati nel misurare i risultati e nel comprendere se le persone che apprezziamo e a cui siamo connessi gradiscono i nostri contenuti, per capire quanto siamo importanti per loro. Questo meccanismo ne attiva un altro che ci porta a controllare chi è a farci i like, chi dimostra di amarci o apprezzarci attraverso il riscontro digitale. Funziona esattamente così.
L’ossessione per la performance rischia di cambiare il nostro modo di comunicare e di relazionarci nelle conversazioni attraverso il piccolissimo schermo dello smartphone. In alcuni casi fino alle estreme conseguenza di una comunicazione ridicola, o aggressiva, acchiappa consensi.
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